giovedì 20 ottobre 2016

Testo della Conferenza stampa della delegazione alessandrina di ritorno dal Kurdistan Bashur (Kurdistan meridionale, Nord Iraq)

Nei dodici giorni – 27 Settembre / 8 Ottobre 2016 – trascorsi nelle terre di Mesopotamia, terre che, nei secoli scorsi, hanno visto gli albori della civiltà – dalla prima scrittura su tavolette cuneiformi alla pratica dell’agricoltura – la nostra delegazione ha prima raggiunto il campo profughi di Makhmur, in mezzo al deserto iracheno, che ospita 13 mila profughi fuggiti dai villaggi di confine del Kurdistan turco bombardati dall’esercito nel 1998. Qui, dove stiamo realizzando un piccolo ospedale, sono stati consegnati 10 mila euro di aiuti, che, contrariamente alla destinazione iniziale che prevedeva il completamento dell’ospedale, verranno impiegati per l’acquisto urgente di medicinali e di kit sanitari data la situazione di guerra in essere: Makhmur si trova a 40 chilometri da Mossul ed è stata occupata per un giorno da Daesh, poi successivamente liberata. Siamo stati a Kirkuk – la città del petrolio, la Gerusalemme kurda – dove abbiamo incontrato i guerriglieri dell’HPG – la formazione armata del Pkk – chiamata mesi fa a difendere la città sulla linea del fronte contro Daesh. Abbiamo poi visitato il campo profughi di Barika, zona di Arbat, vicino a Sulajmanijak, dove sono rifugiati 8 mila profughi siriani sfuggiti a bombe e distruzione in Siria, il poliambulatorio gestito da Emergency, insieme alla scuola del campo che ospita 1500 bambini. Secondo i dati aggiornati dell’Onu, oggi nella Regione autonoma del Kurdistan Bashur che ha una popolazione di 5 milioni di abitanti, ci sono 1milione e 700 mila sfollati interni (comunque profughi) e 280 mila rifugiati, ovvero circa 2 milioni di profughi, comunque si vogliano chiamare, sparsi in diversi campi gestiti dall’UNHCR: ben il 40% del totale della popolazione! Abbiamo incontrato partiti e movimenti della società civile kurda siriana (Pyd, Partito dell’Unità democratica e TevDem, Movimento per la Società democratica) che ci hanno parlato delle difficoltà che incontra la realtà autogestita dei tre cantoni del Rojava (Kurdistan siriano), oggi sotto embargo e sotto attacco dei turchi e dell’esercito di Assad, ma ci hanno parlato anche di come sia importante e decisiva la solidarietà tra i popoli. “Voi internazionali – ci hanno detto – state dando il colpo più grande al nemico di tutti, portando questa lotta, questa rivoluzione in atto nel Rojava, in Occidente. Se domani potete mettere un mattone in Rojava, questo gesto non verrà mai dimenticato, sarà un mattone posato per l’umanità intera, sarà un simbolo di fratellanza e di amicizia tra i popoli”. A Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, abbiamo incontrato un rappresentante del KNK (Congresso Nazionale Kurdo) che ci ha parlato dell’imminente attacco a Mossul, dove sono presenti anche gli italiani per i lavori di ristrutturazione della diga e della guerra che sarà ancora lunga: “La guerra per la conquista di Mossul – ci ha detto – riguarda tutto l’Iraq. Mossul e tutta l’estesa provincia di Ninive sono come un giardino fiorito di popoli, etnie, religioni, che non ha pari in tutto il Medio Oriente. L’interventismo di Erdogan in Iraq e in Siria punta alla conquista di territori, tenta una riedizione dell’impero ottomano. Per questo mira a creare un’inimicizia tra le varie etnie, tra sciiti, sunniti e kurdi, per indebolirli. La Turchia non pensa tanto a Mossul, ma a come intervenire laddove ci sono le basi dei guerriglieri del Pkk, sui monti Qandil. Vogliono perpetrare un massacro a Qandil, com’è avvenuto nello Sri Lanka con le Tigri Tamil. Per questo, la guerra non si concluderà con la sconfitta di Daesh, ma proseguirà nei prossimi anni. Sarà una guerra lunga e sanguinosa.” I monti Qandil sono catene montuose che attraversano i confini di Iraq, Turchia e Iran. Sono novecento chilometri di alte montagne coperte da boschi e foreste, dove si trovano i santuari dei guerriglieri del Pkk. Qui siamo stati accolti dal sindaco e dalla co-sindaca della municipalità di Qandil, un territorio che abbraccia 61 villaggi sparsi sulle montagne, con circa 8 mila residenti dediti all’agricoltura e alla pastorizia; qui abbiamo visto gli effetti delle bombe turche sul villaggio di Zargaly dove appena pochi mesi fa i bombardieri di Ankara hanno fatto stragi di civili, qui abbiamo visitato il cimitero e il museo dei martiri, Mehmet Korasungur, ed infine abbiamo incontrato, in un lungo ed illuminante colloquio sulla situazione politica e militare in Siria ed in Iraq, un alto dirigente del Pkk. Dodici intense giornate che ci hanno fatto capire cosa sta realmente accadendo nell’area, qual è la posta in gioco di questo conflitto che non avrà fine neppure dopo la sconfitta di Daesh, con le ovvie ricadute sull’Occidente per quanto riguarda il flusso inarrestabile di profughi verso l’Europa. Tutto questo grazie ai fabbricanti di armi occidentali e ai loschi interessi di grandi e medie potenze regionali, America e Russia, in primis, per il controllo geostrategico dell’area, Turchia ed Arabia Saudita con mire espansionistiche regionali. Alessandria, lì 19 Ottobre 2016 La delegazione di ritorno dal Kurdistan Bashur